E’ oggetto di valutazioni e commenti il rapporto dalla Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno), presentato a Potenza. Un rapporto dal quale emerge un quadro preoccupante ma non senza possibilità di recupero.
La Svimez, ente privato senza fini di lucro attivo sin dal 1946, si occupa, ricordiamo, dello studio dell’economia del Sud Italia, con l’obiettivo di proporre alle istituzioni soluzioni valide al raggiungimento dell’unità anche economica del Paese.
Alla presenza del direttore della Biblioteca Francesco Sabia, del presidente del Consiglio regionale Piero Lacorazza e di Santino Bonsera, presidente del circolo culturale “Silvio Spaventa Filippi” e organizzatore dell’evento, nonché di numerosi esponenti delle istituzioni e della cultura lucana, sono stati Riccardo Padovani e Adriano Giannola, rispettivamente direttore e presidente della Svimez, a presentare il quadro socio-economico della regione.
Secondo Padovani «la crisi ha depauperato le risorse del Sud e il suo potenziale produttivo: la forte riduzione degli investimenti ha diminuito la sua capacità industriale, perdendo in competitività. Le migrazioni, specie delle classi di età più giovani e di capitale umano formato hanno solo in parte contemperato il calo dei posti di lavoro. Il rischio che occorre contrastare è che il depauperamento di capitale umano, imprenditoriale e finanziario possa trasformare la lunga crisi in un nuovo equilibrio “al ribasso”, di minore sviluppo e minore benessere».
Questi alcuni numeri significativi del rapporto:
Con una popolazione residente all’anagrafe di 576,6 mila abitanti, il Pil della Basilicata, nel 2014, è stato pari a 10.520,1 milioni di euro, in perdita dello 0,7% rispetto all’anno precedente. Perdita valida per tutto il Mezzogiorno d’Italia che, per il medesimo periodo di riferimento, ha perso l’1,3%. In perdita, in misura meno grave, anche il Centro – Nord, che segna -0,2%.
Nel periodo 2001-2014, l’Italia è stato l’unico grande Paese europeo a presentare una dinamica della produttività negativa, segnando -5,8% (Mezzogiorno -7,7%, Centro – Nord -5,9%, Basilicata -11,3%).
Nei sette anni di crisi (200-2014), per l’industria in senso stretto è crollo nel Sud, con – 59,3% ,rispetto al -5,9% del periodo 2001-2007. Perde, sempre negli anni di crisi degli investimenti, ma in maniera nettamente inferiore, il Centro – Nord, -17.1%.
Per il 2015, grazie a fattori per lo più esterni come il calo del prezzo del petrolio e il deprezzamento del dollaro, è previsto, per l’Italia, un aumento del Pil pari allo 0,8%, con +1% al Centro – Nord e +0,1% al Sud (tendenti a modesti rialzi nel 2016).
Difficile anche la situazione occupazionale (al Sud lavora 1 giovane su 4 e 1 donna su 5) e l’abbandono del meridione (nello periodo 2001-2014 circa 1,7 milioni di abitanti sono andati via e poco più di 900 mila sono rientrati). L’aumento recente dell’occupazione al Sud si registra solo nel secondo trimestre del 2015, con 180 mila posti in più in Italia (60 mila al Nord, 120 mila al Sud, di cui 7600 in Basilicata).
Cresce la povertà assoluta, seppur con notevole differenza, sia a Sud che a Centro – Nord: le persone che vivono poco al di sopra della soglia di povertà sono 1 su 10 al Nord e 1 su 3 al Sud.
«Lo Stato dovrebbe intervenire con una politica di sostentamento universalistica, prevista in tutta Europa tranne che in Italia e Grecia – ha aggiunto Padovani. Serve una politica attiva di sviluppo secondo una logica industriale di sistemi, per avere una crescita secondo strategie. La figura dello Stato dovrebbe essere quella di “regista” della strategia di sviluppo, non pura entità di spesa o garante del funzionamento dei mercati. Deve assegnare il ruolo ad alcune direttrici di intervento prioritario e concentrare le risorse, senza interventi frantumanti. Alcuni driver finalizzati a questo sono la logistica, a partire dal ruolo del Sud nel Mediterraneo, dalle aree retroportuali e dai grandi porti; la rigenerazione urbana e ambientale, con interventi di riqualificazione, efficientamento energetico. L’energia diventa ulteriore driver, soprattutto quella rinnovabile e la Basilicata può essere un Polo per l’innovazione e la ricerca; il settore agroalimentare e agroindustriale; l’industria culturale, per la valorizzazione del capitale umano e artistico».
Focalizzato all’aspetto demografico e migratorio l’intervento di Adriano Giannola, che ha evidenziato quanto debba essere abbondante e di qualità il capitale umano per qualsiasi politica di sviluppo. In un mezzogiorno con sempre meno laureati e sempre più studenti che si iscrivono in atenei fuori regione, oltre a chi lascia la Basilicata per lavoro (sicuro o meno), nel periodo 2001-2011 sono state 47.793, in media ogni anno, le persone emigrate e 92.137 unità nel solo periodo 2012-2013.
Ulteriore questione dibattuta è stata quella del Mediterraneo. Il Mezzogiorno dovrebbe essere la porta Sud del Mediterraneo per l’Europa, ma non esiste una strategia mediterranea per il Paese. Il Sud, con il porto di Taranto chiuso, quello di Gioia Tauro in cassa integrazione e quello di Napoli commissariato da dieci anni, risulta contare poco o niente, perdendo in economia punti preziosi.