Ad affrontare il tema del traffico di esseri umani, tristemente attuale, è stato il sociologo Francesco Carchedi, docente all’Università La Sapienza di Roma, collaboratore dell’Osservatorio dell’Istituto di Ricerche Economiche e Sociali (Ires) nazionale sull’Immigrazione e responsabile dell’area Ricerche del Consorzio Parsec.
Autore di numerosi testi sui temi dell’emigrazione e dello sfruttamento degli esseri umani, ha trascorso, fra l’altro, quattro anni in Nigeria per conto di un progetto ministeriale, finalizzato allo studio della tratta di donne indotte alla prostituzione.
Sociologo Francesco Carchedi
“E’ anche una questione di linguaggio – ha spiegato Carchedi a Potenza, nel corso del primo incontro del ciclo di percorsi formativi denominato “Aule Sociali – Formarsi per accogliere”, a cura del Centro di ricerca e studi sulle realtà meridionali (Cestrim) – perché se continuiamo a chiamare ‘trafficanti’ coloro i quali lucrano riducendo in schiavitù altri esseri umani, rischiamo di sottintendere una corresponsabilità della persona trafficata, una sorta di circolarità di colpevolezza ma tra torturatore e vittima non c’è circolarità. Bisogna distinguere ruoli e responsabilità, ecco perché sarebbe più opportuno parlare di contrabbandieri di uomini, piuttosto che di trafficanti”.
“Col passare del tempo – ha detto il sociologo, facendo riferimento a quanto accade in Nigeria – è cambiato il luogo dei reclutamenti, non la modalità: se prima si verificavano nelle città, soprattutto a Benin City, oggi avvengono in zone più rurali poiché le donne dei grandi centri sono più urbanizzate e scolarizzate”. Il metodo, invece, è sempre lo stesso: alcuni informatori dell’organizzazione criminale, segnalano le ragazze che hanno espresso una volontà di partire in cerca di un futuro migliore; vengono quindi “casualmente” avvicinate da una signora ben vestita e ingioiellata (detta Maman), che prospetta loro la possibilità di partire; alle resistenze della ragazza, che sono quasi sempre di natura economica, la donna si offre di provvedere alle spese del viaggio con l’impegno, da parte della ragazza, di restituire i soldi quando arriverà a destinazione.
La Maman garantisce anche un lavoro (in famiglia, in ditte di pulizie, in qualche attività di proprietà di un loro parente) che le consentirà in poco tempo di saldare il debito. La ragazza accetta la proposta e sottoscrive il “patto di obbedienza” in condizioni di grande suggestione: d’avanti a un sacerdote che pratica il culto voodoo (pratica che ha lo status di religione in Nigeria) e alla presenza della Maman e di un suo accompagnatore. Sopra un’ara vengono disposti della farina e pezzi di pollo. Il sacerdote, detto Papa Loa, recita alcune formule e prepara tre sacchetti che serviranno a sigillare il patto. Contengono peli della ragazza (pubici o capelli), un lembo del suo vestito e una moneta. Ciascuno di loro (la ragazza, la Maman e il sacerdote) avrà un sacchettino e fino a quando i tre amuleti non si ricongiungeranno, il patto non sarà considerato onorato.
“Questa pratica – ha spiegato Carchedi – induce la vittima in un profondo clima di assoggettamento e di obbedienza. Una sorta di ‘docilizzazione’ che lega la ragazza ai suoi aguzzini”. Le violenze e i soprusi cominciano già durante il viaggio, che spesso dura mesi, con conseguenti costi aggiuntivi a carico della ragazza: un debito che non potrebbe essere onorato neanche con una vita di lavoro. Una volta arrivate nel Paese europeo di destinazione, le ragazze vengono consegnate ai cosiddetti Maman boys, i papponi o protettori: un altro anello dell’organizzazione criminale che si occupa della protezione della Maman e del controllo delle ragazze.
Esiste anche un secondo livello livello di protezione, se possibile, ancora più violento – ha spiegato Carchedi – i “cultisti”: derivazioni contemporanee di fanatici religiosi che rispondono solo alla sacerdotessa che, spesso, è la stessa Maman.
“L’organizzazione criminale che arruola le ragazze – ha continuato il prof. Carchedi – è molto strutturata e organizzata. Pratica il controllo totale sulle ragazze, basandosi sul dato certo che le vittime hanno la percezione di ‘essere possedute’ da quella promessa. C’è quindi una componente mistico-possessiva che la ragazza ha interiorizzato al momento del giuramento e che le lascia pochi margini di azione”.
Il Cestrim, già da anni, gestisce una casa-rifugio in una località della provincia di Potenza, dove vengono accolte le ragazze che decidono di cambiare vita. Denunciando i loro sfruttatori, rientrano in un programma ministeriale di protezione, che le mette nelle condizioni di rifarsi una vita.
Quello con il professor Carchedi è stato il primo di un ciclo di incontri che si terranno nei prossimi venerdì nella sede del Cestrim, in via Sinni a Potenza. Questo il calendario del percorso formativo “Aule Sociali – Formarsi per accogliere” : 13 novembre – “Il ruolo della mediazione culturale e la gestione dei progetti di accoglienza e inclusione” – Maria Antonietta Maggio (Antropologa – Arci Basilicata); 20 novembre “La legislazione internazionale” – Avv. Giuseppe Vendegna; 27 novembre “Le malattie sessualmente trasmissibili: prevenzione e controllo” – Dott. Stefano Curto 4 dicembre “Il ruolo e la funzione dell’operatore di strada” – Dott. Alfredo Orientale (Resp. Unità di Strada Arci Salerno) – Ilaria Chiapperini (Operatrice unità mobile – Comunità Oasi 2 San Francesco Onlus/Trani).
Alla fine del percorso, e dopo una attenta attività di feedback, si passerà alla prova pratica con la programmazione degli interventi su strada.