«Il settore energetico è un comparto trainante per il Paese e la Basilicata può essere un driver di sviluppo importante per diffondere un’altra cultura d’impresa, un modello che possa dare nuova energia alle nostre aziende». Lo ha ribadito Francesco D’Alema, presidente dei Giovani imprenditori di Confindustria Basilicata al trentesimo convegno di Capri, il tradizionale appuntamento delle nuove leve dell’impresa. “Patrimonio Italia. Cambiamo punto di vista” è il tema della due giorni, nel corso della quale il presidente nazionale Marco Gay presenta le tesi dei Giovani imprenditori per disegnare il futuro del Paese, puntando sulla leva del Mezzogiorno.
«L’Italia – ha detto il presidente Gay – deve importare ogni anno grandi quantità di petrolio, sprecando la ricchezza che avrebbe e aumentando la dipendenza da altri Paesi, nei quali spesso il petrolio viene estratto con standard di attenzione all’ambiente infinitamente minori rispetto ai nostri».
Un Sud, già protagonista nello scenario energetico italiano, che si fa strada come è emerso nel workshop di apertura del convegno caprese, dedicato al tema “Ambiente Italia, un’opportunità per il Paese” che ha visto come tema centrale l’energia. “Dal giacimento della Val d’Agri a quello di Tempa Rossa – ha ribadito D’Alema – passa il futuro energetico dell’Italia. Un treno sul quale noi giovani imprenditori siamo già saliti e guardiamo avanti seguendo il modello dell’Emilia Romagna dove esiste un comparto industriale forte, che rappresenta un’eccellenza tecnologica per il nostro Paese. Se quello è il polo dell’offshore, la Basilicata è il polo indiscusso dell’onshore”.
«Petrolio e gas rappresentano una ricchezza per le imprese italiane che occorre fruttare con sempre maggiori tecnologia – lo ha ribadito Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia -. E più si investe in tecnologia, più si riducono gli impatti ambientali e maggiori sono i livelli di sicurezza. In una parola è la tecnologia che risolverà il problema dell’ambiente».
È questa la vera sfida anche alla luce delle prospettive occupazionali che si aprono nell’industria estrattiva che richiede specializzazioni che si sono sviluppate in Italia e sono fortemente richieste. «Un Paese – ha detto Carlo Russo, Direttore Centro e Sud Europa E&P Eni – che ha riserve molto elevate di idrocarburi a terra e mare, ma ha un tasso di sfruttamento tra i più bassi d’Europa. Eppure il binomio territorio e idrocarburi non solo può convivere ma porta sviluppo, opportunità per le imprese potendo coesistere con i settori dell’agricoltura e del turismo e soprattutto con impatti sull’ambiente e sulle persone di gran lunga inferiori a tante altre attività industriali».
I dati della Val d’Agri pubblicato nell’ultimo Local Report di Eni, sono significativi: oltre 3.500 lavoratori (circa 2.000 lucani), 125 aziende che hanno lavorato nell’indotto (di cui 50 con sede secondaria in Basilicata e 36 con sede legale in regione). «Ma istituzioni e sistema imprese devono far rete – lo ha ribadito l’assessore all’Ambiente, Aldo Berlinguer – per riuscire a combattere il muro di dissenso spesso collegato a un problema di conoscenza. Certo l’ambiente è una precondizione e un diritto non negoziabile, ma le scelte nella gestione delle risorse vanno condivise con il territorio che deve poter percepire i benefici anche in termini di fisco differenziato».
Alle istituzioni, l’impresa lucana chiede una grande operazione di verità per evitare che si continui ad alimentare una cultura del “no” allo sviluppo. «I tempi dell’impresa e del mercato – ha concluso Pasquale Lorusso, vice presidente di Confindustria Basilicata – sono molto lontani dai tempi della burocrazia. Se non troviamo il modo di accorciare questa distanza rischiamo di rendere l’Italia un “ambiente” sempre meno adatto per le imprese».