Due appuntamenti del progetto 2068 AnimalePolitico Project, per la compagnia riminese Motus, a Potenza, nell’ambito del Festival Città delle 100 Scale.
Il primo, dal titolo Nella Tempesta, si è tenuto il 7 ottobre, presso il Teatro Francesco Stabile.
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In scena un’eco shakespeariana, punto di partenza per un discorso più articolato e complesso sul tema del viaggio forzato e dell’emigrazione, dei padroni e del potere. Il Mediterraneo interpretato con gli occhi dell’attualità, attraverso le vicende di alcuni personaggi classici della Tempesta del Bardo, come Ariel, Calibano, Prospero. Ma non è solo questo Nella Tempesta. È partecipazione e riflessione col pubblico e le sue coperte, utilizzate sul palco. L’interpretazione intensa degli attori, ha offerto una chiave di lettura parallela alle vicende di cui, ogni giorno, siamo testimoni, e a ciò che di davvero, complesso e articolato, ci può essere dentro una tempesta.
Un tempesta liquida, con le onde del mare che sbalzano i soggetti in ogni dove; una tempesta invisibile, interiore, che sbalza ugualmente chi ne è invaso, in maniera più silenziosa, ma sempre devastante. L’uomo è irrimediabilmente impotente di fronte e dentro di essa.
Un continuo dialogo tra elementi scenici (un faro) e i personaggi, testi profondi, sempre proiettati, in inglese, al fondo della scena. Poi la luce, protagonista, ha gestito gli spazi e si è fatta operatrice dei tempi scenici, come un’altra attrice. Stroboscopica, ha reso percepibili i lampi.
È stata anche metateatro, Nella Tempesta dei Motus, con pause ed interventi direzionali del tutto identici a quelli che avvengono, di consueto, nelle prove. Tutto è così reso più vivo, tangibile, presente.
Le coperte, numerosissime sul palco, sono state versatili alleate degli attori: sono diventate onde, case, rifugio, scoglio, maschera, riparo, giaciglio, mantello.
In modo complementare, la proiezione di immagini reali di immigrazione, indefiniti viaggi in mare, protagonisti forzati di spostamenti rischiosi, sono stati una cornice realistica di impatto forte.
La recitazione è stata accompagnata dalla musica, sia stata essa classica o i dei Doors.
Ancora il pubblico, chiamato a dialogare, in inglese, ha creato un ulteriore momento di scambio, che è poi necessario alla riflessione, al dibattito, alle tracce che uno spettacolo lascia nello spettatore. E si chiude, ma non in maniera definitiva, con una scritta fatta di coperte , sul palco: this land is mine, ma anche, is this land mine?
Il secondo spettacolo, Caliban Cannibal è andato in scena presso la palestra del Liceo delle Scienze Umane “E. Gianturco” di Potenza, l’8 ottobre.
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Il naufragio si presenta come tema anche nella momentanea quiete post tempesta. I protagonisti, A+C, forse Ariel e Calibano, instaurano un profondo dialogo su vicende personali che li rendono indefiniti, instabili. Raccontano le proprie esperienze, così diverse ma comuni. E lo fanno all’interno di una tenda, simile alle centinaia di tende usate per il primo soccorso ai rifugiati, nuova casa momentanea, senza focolare.
Il linguaggio è ugualmente instabile, oscilla tra italiano, francese, arabo, inglese, in tentativi.
Ogni gesto, parola, suono è filmato da piccole telecamere nella tenda, proiettato su uno schermo agli spettatori raccolti, intimi, di fronte. Un secondo schermo, al lato opposto della tenda, proietta un filmato di montaggio coi medesimi protagonisti, creando una sorta di realtà parallela, ai limiti dello straniamento.
La tenda si muove, provoca mal di mare. Una metafora, del dolore delle madri che perdono il loro figli in mare.
Caliban Cannibal, punta sul video e sulla ripresa del gesto in immagini; è metavideo, con un schermo di pc (portatore di dolore dal Medio Oriente) nello schermo che proietta il filmato di montaggio dei protagonisti.
Gli schermi non sono altro che comuni scatoloni, quasi totalmente abbattuti a fine spettacolo. E la tenda, casa – fulcro concettuale della rappresentazione, è svuotata e smontata, pronta per diventare, forse, il nuovo luogo – non luogo per nuovi ospiti.
Il teatro si pone, con esperimenti come quello dei Motus, come possibile spiegazione della realtà. Una realtà così chiara e così assurda.
Al termine dello spettacolo, i due autori e registi, Enrico Casagrande e Daniela Nicolò, hanno raggiunto il pubblico, soprattutto giovani studenti delle scuole secondarie della città, per una riflessione su quanto appena portato in scena.
«Noi lavoriamo su progetti, non su steccati – ha spiegato Casagrande. Cerchiamo sempre di superare gli steccati, per metterci in gioco su più fronti. Il testo è frutto di una riflessione sul cercare di parlarsi, sul dialogo fra due mondi differenti».
Ha poi proseguito Daniela Nicolò:
«Nella Tempesta e Caliban Cannibal sono due lavori complementari. Abbiamo lavorato con gioco teatrale su Shakespeare, con Ariel. Abbiamo voluto mettere a fuoco l’altra parte del Mediterraneo, in fondo le navi di Shakespeare partivano da Cartagine, usando anche l’immaginazione di un altro linguaggio poetico fatto di varie lingue».