Sulla vicenda giudiziaria pubblichiamo l’articolo del collega Fabrizio DiVito, de “La NUova del Sud”, gentilmente concessoci dal Direttore Clemente Carlucci, che ringraziamo.
“Presi 100 milioni di lire dai contrattisti, ma li accantonai per ultimare un progetto che fino a quel momento aveva subito pesanti problemi e ritardi”. E’ quanto sottolineato ieri mattina in aula dalla prof.ssa Albina Colella, ordinario di geologia presso l’università degli studi della Basilicata accusata di concussione ed estorsione nell’ambito di un’inchiesta sulla gestione di alcuni fondi del programma europeo Por-Fesr. La vicenda è abbastanza datata e le accuse di truffa e peculato sono già cadute in prescrizione. L’imputata si è sottoposta all’esame e per circa un’ora e mezza ha risposto alle domande del suo avvocato Leonardo Pinto, del pubblico ministero Valentina Santoro e del presidente del collegio giudicante Aldo Gubitosi.
IL PROGETTO E I CONTRATTISTI – I fatti oggetto del processo a carico della prof.ssa Colella risalgono al marzo del 2002, quando l’ex rettore dell’ateneo lucano, Antonio Tamburro, deceduto nel 2009, all’epoca preside della facoltà di Scienze, avrebbe segnalato all’allora rettore Lelj Garolla presunte irregolarità da parte della docente nella gestione dei fondi per il progetto di ricerca “Agrifluid”, finanziato dalla Regione Basilicata con fondi europei per il monitoraggio delle risorse idriche e sotterranee della Val d’Agri e del valore complessivo di circa 650mila euro. “Il progetto – ha sottolineato davanti ai giudici la prof.ssa Colella – durava 24 mesi e iniziò nel settembre del 1999. Per lo svolgimento del progetto mi sono avvalsa della collaborazione di tre ricercatori contrattualizzati e con loro pattuimmo un compenso che variava dagli 8 ai 16 milioni di lire a seconda dei compiti da svolgere. Pochi mesi dopo l’avvio del progetto mi sono resa conto che eravamo già in ritardo e ho deciso di aumentare il valore dei contratti dei contrattisti per accantonare le somme e portare avanti il progetto”. In poche parole, i tre ricercatori avrebbero incassato molto meno rispetto a quanto riportato sui loro contratti. Il tutto, secondo la prof.ssa Colella sarebbe avvenuto dietro il loro consenso e senza alcun tipo di minaccia o intimidazione: “I tre si sono resi disponibili e il tutto è avvenuto prima della firma del contratto. Io non avevo il potere di minacciarli per il contratto lo hanno firmato con il rettore. Dovevano restituirmi quei soldi per accantonarli per il progetto. Era un nostro accordo privato”.
I 100 MILIONI – In totale l’accordo privato con i contrattisti avrebbe portato nella disponibilità della docente una cifra totale di 100milioni di lire. Ed è proprio sull’utilizzo di quella somma che si è concentrato gran parte dell’esame dell’imputata. “Quei soldi sono stati utilizzati per ultimare il progetto. 6-7milioni li ho spesi per spese di viaggio in tutta Italia per seguire il lavoro dei gruppi di ricerca e per i convegni attraverso i quali sono stati illustrati i risultati del progetto”. I restanti 93milioni di lire sarebbero finiti nelle tasche di tre esperti individuati dalla professoressa Colella. Tre consulenti esterni il cui apporto sarebbe stato necessario per non allungare ulteriormente i tempi del processo. “Quei 100milioni li avevo in contanti nel mio ufficio e 93 sono andati a tre professori per fare delle ricerche. Due di loro però non sono più in vita”. L’unico che potrà ancora fornire la sua versione dei fatti, invece, sarà ascoltato nella prossima udienza. Delle transazioni economiche tra la prof.ssa Colella e i tre docenti non sarebbe rimasta traccia. La documentazione amministrativa sarebbe infatti sparita dall’ufficio della docente di geologia (episodio per il quale presentò denuncia). In ogni caso, davanti ai giudici, la prof.ssa Colella ha ammesso di “aver pagato in nero parte di quei compensi”.
IL GOMMONE – C’è poi la vicenda di un gommone di proprietà dell’unibas che per circa un anno sarebbe rimasto in un’officina di Carovigno, in provincia di Brindisi. “Portai il gommone a Carovigno per motivi di manutenzione – ha evidenziato la prof.ssa Colella – anche perchè a Potenza non c’erano officine specializzate”.
IL COLLAUDO FINALE – Mentre rispondeva alle domande dell’avvocato della Regione Basilicata, parte civile nel processo, la prof.ssa Colella ha fatto riferimento al collaudo finale del progetto. E in seguito alle risposte date, il pm Valentina Santoro ha contestato all’imputata un nuovo capo d’imputazione relativo alla presunta falsificazione del collaudo che avrebbe attestato la conclusione di un progetto in realtà ancora in itinere. A quel punto, però, la prof.ssa Colella ha deciso di avvalersi dell’intervenuta prescrizione del reato, evidenziando che in ogni caso quel collaudo non conteneva nessuna falsa attestazione. Il processo riprenderà il prossimo 5 ottobre.