“… simbolo di una civiltà di provincia, affabilità nel saluto, dell’incontro cordiale, tappa necessaria, punto fermo della memoria urbana …”
Così scriveva Lucio Tufano nell’articolo pubblicato su “La Nuova Basilicata” del 2 gennaio 2001, nel quale raccontava la storia del “Bar di via Pretoria”, il Gran Caffè, “stargate” di Potenza.
“Millenovecentoquaranta, un anno innocente, quasi inconsapevole dei terribili eventi che si addensano sull’immediato domani, Via Pretoria è lì a misurare i passi delle generazioni. … La via delle confidenze, delle effusioni, degli incontri e del pettegolezzo, della amicizia vera o finta, dell’invidia e del rancore, degli affari e degli acquisti, con vicoli che la intersecano a spina di pesce e che ancora ricordano l’antico universo contadino e popolare della città, la via che sfocia nella vasta piazza del Prefetto, dove i caffè fanno da rifugio ai passanti e da postazione per chi vuole osservare meglio, per chi si ostina a vivere in un cordone-sipario un monotono, continuo confronto di maschere e di posizioni. Nella piazza del Prefetto è appena sorto il Palazzo INA e sotto i portici di esso si inaugura il nuovo “Gran Caffè Italia”, con la orchestrina che suona le musiche degli anni trenta ed accompagna la cantante settentrionale che lancia i suoi gorgheggi per il pubblico che si assiepa davanti al locale. Il Prefetto fa la spola dalla Prefettura al Gran Caffè per ristorarsi o per sorbire i suoi vari espressi, mai solo, ma con un codazzo di funzionari e di impiegati in camicia nera”.
Il più antico bar del centro storico di Potenza, il Gran Caffè d’Italia, di proprietà della vedova Laurita, era in attività già nel gennaio del 1923, in via Pretoria, al civico 109 – 113.
“Caffè d’Italia, il miglior ritrovo – enunciava la pubblicità dell’epoca – Confetture, cioccolata, liquori esteri e nazionali, vini e champagne”.
“Era il bar dei signori – racconta il signor Vincenzo De Pierro, storico cassiere del Gran Caffè – Donne e bambini non potevano entrare”.
“E’ in questo caffè che hanno sostato tutti: gli alti e i bassi, i panciotti e i cappelli, i Borsalino e i Panizza, gli spolverini frettolosi degli avvocati golosi, divoratori di babà e di pasticciotti alla crema; è qui che hanno sorbito distrattamente e forse anche frettolosamente il caffè tra una supplica e un suggerimento, circondati da clienti, con codazzo di amici o di gregari, tra accompagnatori solerti e seguaci trepidanti, gli uomini politici dalle trafelate campagne elettorali, concitati e sbrigativi, disponibili e pazienti, assediati da nugoli di attese sottoproletarie e militanti”. Scrive nel suo articolo Tufano: “Hanno sostato tra battute e motti di spirito, spendendo un ultimo concetto, residuo del loro comizio, quelli venuti da Roma ad arringare la pigrizia dei potentini, a catturare il loro consenso, a vincere una inerte diffidenza. Ed i locali, gli apostoli ed i leadres, Vincenzo Torrio, Aldo Enzo Pignatari, Claudio Merenda, Enrico Marotta, Pietro Valenza, Emilio Colombo, Tommaso Morlino, senatori e deputati e moltissimi altri, Palmiro Togliatti che nel 1944, dopo un discorso al teatro Stabile entra seguito dai suoi e dalla folla, nel Gran Caffè, e almirante, De Martino…”.
E le gestioni? Da quella di De Luca del 1939-40, a quella di De Rocco e Giambrocono del 1962, a quella attuale di Biscione.
“Eravamo titolari del Caffè Pretoria – racconta Rocco Biscione – Nel 2001 avendo avuto la possibilità di prendere in gestione il Gran Caffè, il punto di riferimento di ogni potentino che sale in centro, abbiamo colto al volo l’occasione”.
Il Gran Caffè “ha rappresentato un punto importante nel centro storico, nell’angusta topografia della città, un locale dove politica, cultura, affari e notizie hanno lievitato innanzi al banco tra una tazza e l’altra. Vi si sono trattenuti personaggi autentici di una città metafisica, portatori di epoche e di climi, di sarcasmo e di battute, di humor e di mestizia, indelebili ritratti nell’eccentrico passepartou della microstoria. Personaggi in abito scuro con grandi cappelli a falde larghe, avvocati famosi, ingegneri e costruttori, avventori di epoche dove la vita della città già scorreva tra ordinazioni e sbuffi della macchina espresso”.