Il calcio non ha stagioni né confini. Il calcio è bellezza dirompente, disarmante, esaltante. In questa nostra latitudine mediterranea la bellezza del calcio ha un nome: Leandro Guaita. L’argentino nato nella città disegnata dall’architetto Pedro Benoit, ha la forza di un mattino di sole, la rapidità delle nuvole spinte dal vento, l’orgoglio latino che gli illumina lo sguardo, la fierezza di chi ha costruito, centimetro dopo centimetro, il proprio posto nel mondo del pallone. La sua corsa è un inno alla gioia, la testa bassa e l’occhio rapido fanno di lui un felino rapace a caccia di spazi verdi da conquistare e reti da gonfiare. Caparbio non molla di un centimetro la presa, difende la palla, la nasconde, l’accarezza, ne fa ciò che vuole fino a quando non l’ha piazzata nello spazio migliore, nel modo più giusto, con traiettorie che spesso rasentano la perfezione geometrica. E’ un tripudio di forza e velocità, una bellezza esplosiva, piena di vita, che irrompe sul prato verde con tutta la sua esuberante dinamicità. E’ un ribelle, un rivoluzionario, un architetto illuminato, un creativo perennemente ispirato, un etoile che danza sul prato verde come fosse all’Opera di Parigi.
Ci si innamora rapidamente del suo calcio, come di uno sguardo improvviso e che non ammette repliche. Ad ogni suo passo, in ogni suo movimento, si può ascoltare la voce di Carlos Gardel che risuona sullo sfondo. Come un tanguero sa usare ogni mossa: il boleo, il cabeceo, la barrida, la salida. Vederlo giocare è un balsamo gentile per l’anima, il sangue si riscalda ad ogni suo movimento e la mente vola superando i confini del reale. Le sue sono pennellate di un colore vivissimo, il suo talento produce graffi su una tela come quelli di Lucio Fontana; per lui useremo le parole che Gillo Dorfles scrisse per spiegare i buchi e i tagli del celebre artista italo argentino: “L’impulso, ad esempio, a forare la tela, a distruggere, ma costruendo in altra materia, la superficie ormai divenuta schiava della tradizione, è un genere d’impulso che sarebbe stato impensabile in chi non fosse dotato come lui di quel senso di sicurezza anche nell’assurdo di cui invece sono quasi sempre privi gli artisti cerebralizzati, i teorizzatori, i concettualizzanti”.
La sua arte è patrimonio di tutti, nessuno osi impossessarsene! Il romanzo dell’impossibile con Guaita diventa verità, l’immaginario si fa verbo, la bellezza si sublima ogni minuto sul quel prato verde. Ha un vento speciale che lo contraddistingue, una forza interiore che non conosce fatica, nelle sue gambe scorre il fuoco sacro di Nike, la dea della vittoria, figlia del titano Pallante e della ninfa Oceanina Stige. Lo hanno chiamato in tanti nomi, ma lui non è solo un nome: è un sentimiento que no puedo parar.
Chi ama veramente il calcio ama solamente la bellezza. Una bellezza pura, senza paura, senza appartenenze, come solo l’arte per l’arte sa essere. Non c’è spazio per brutture ma solo per figure metriche, rime, strofe, componimenti lirici, epoche e luoghi vastissimi. Chi ama la bellezza non può restare immobile vedendo giocare Leandro Guita.